
“Impara le regole come un professionista, affinché tu possa infrangerle come un artista.” Pablo Picasso
Oggi nella rubrica Letture Critiche affrontiamo un romanzo eccellente, “Pastorale Americana” di Philip Roth. In questo capolavoro, Roth analizza i protagonisti con il lucido microscopio delle anime tipico della sua scrittura impudente e sontuosa. E lo fa con abile maestria, al punto di infrangere le regole in modo tanto elegante quanto impercettibile. Stiamo parlando del repentino e definitivo cambio di Punto di vista (PDV) che avviene circa a pagina 100. La narrazione della prima parte del romanzo è affidata allo scrittore immaginario/alter ego Nathan Zuckerman, molto caro a Roth. Nathan ci parla del suo incontro con lo Svedese, della loro cena all’apparenza sterile e di molte altre cose che lo riguardano in prima persona, dai fallimenti personali al cancro alla prostata. Poi, mentre balla abbracciato alla sua vecchia fiamma Joy durante la festa di cinquantesimo degli ex allievi, inizia a fantasticare sulla reale vita dello Svedese. E lo fa senza uno stacco di riga, un’interruzione di capitolo, una notazione di qualsiasi genere, impostando una digressione che prosegue per oltre trecento pagine accompagnando a termine il romanzo. Il lettore, senza accorgersene, perde Zuckerman e non lo recupera più: certamente siamo ancora in terza persona, ma la voce narrante con le sue peculiarità semplicemente svanisce. Puro illusionismo, un gioco da maestro, se a compierlo è Philip Roth. Una scelta da evitare per un autore emergente.
Altra scelta da ponderare con cura è un classico di Roth, ovvero il finale bruciante e repentino. ‘Pastorale americana’ termina con una domanda retorica, ma soprattutto con un numero infinito di interrogativi sullo sviluppo della storia e sulle implicazioni di molte affermazioni alle quali non viene dato seguito. Al contrario, su ogni buon manuale di tecnica narrativa impariamo che, nella costruzione di un romanzo, la struttura quinaria deve essere bilanciata lasciando al lettore, sul finale, il tempo (numero di pagine) sufficiente per riannodare i fili di trama e sottotrame. Lo stesso Robert Mc Kee ci ricorda quanto sia importante gestire la risoluzione, vale a dire ‘tutto il materiale rimasto dopo il climax’ cosa che chiaramente Philip Roth sceglie di non fare.
La storia di Seymour Levov, detto lo Svedese, è la storia dell’America nella sua parabola ascendente (il sogno americano) e discendente (la guerra del Vietnam e gli scandali del Watergate): siamo di fronte a un’opera di letteratura e non di narrativa. E in questa differenza, oltre che nella grandezza dell’autore, alberga la possibilità di infrangere le regole, come insegna Picasso. La narrativa (fiction) nasce per intrattenere, nell’accezione più positiva del termine: le regole del plot (turning point, set up, climax, scioglimento) ci guidano nel costruire una trama appetibile per il pubblico e fruibile in modo da lasciarlo appagato. “Pastorale Americana” è pura letteratura: Roth conduce il lettore nel mondo nella vita quotidiana degli ebrei di Newark di prima e terza generazione; si prende il tempo per insegnarci nel dettaglio – attraverso l’intervista della diabolica Rita Cohen – come funziona l’industria del guanto fin dalle sue povere origini; attraverso i successi dello Svedese ci mostra cosa significa esperire l’identità WASP; impregna le nostre menti delle problematiche interreligiose di un matrimonio misto tra una cattolica irlandese e un ebreo in una società protestante; strappa il velo del conflitto con una figlia che può sentirsi inadeguata anche se tutto intorno a lei tutto è perfetto anzi forse a causa di questo.
Sembrava che le avesse fatto quello che le era stato fatto, qualunque cosa fosse, proprio perché non tollerava un brutto carattere, perché non aveva voluto o non aveva osato averlo. Lo aveva fatto dandole un bacio.
Questo e mille altri insegnamenti a più livelli si rivelano tra le pagine di ‘Pastorale Americana’. Al termine del romanzo noi abbiamo vibrato dentro la storia con la S maiuscola, sperimentando la cultura americana in tutte le sue piacevoli e orribili sfaccettature. La conoscenza e l’arricchimento emotivo che ne ricaviamo trascendono qualsiasi regola.
Articolo di Greta Cerretti

“Leggo perché non so volare.”
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