Donne che comprano fiori di Vanessa Montfort

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Donne che comprano fiori

Quante volte ci accade di approcciare un romanzo perché in qualche modo rappresenta l’ultimo “caso letterario”? 

Il lettore onnivoro tende ad avvicinarsi con entusiasmo alla ricerca di novità, così come  l’aspirante autore cerca di trarre da queste opere il massimo per poter replicare il successo o almeno avvicinarsi a quel risultato.

 Chi scrive appartiene senza dubbio alla prima categoria (lettore onnivoro) e in questi articoli si rivolge alla seconda (autore in cerca di spunti tecnici). 

Suggerito tra i tanti da Alba Donati nel suo libro “La libreria sulla collina“, acquisto “Donne che comprano fiori” di Vanessa Montfort. 

In primo luogo mi colpiscono le grandi similitudini fra le due realtà: la Libreria sopra la penna e il negozio di fiori di Olivia.

                    Ambientazione

A Lucignana c’è un panorama mozzafiato mentre al centro del negozio-serra un ulivo centenario; Lucignana conta meno di centocinquanta anime mentre il libro di Vanessa Montfort è ambientato nel centro di Madrid.

Tolte queste risibili differenze, l’atmosfera bohémien che si respira nel romanzo è la medesima e anche le persone sfortunatamente sprovviste di pollice verde avvertono il richiamo dei fiori, il loro linguaggio, la loro presenza come sfondo perfetto sul quale il lettore può comodamente appoggiarsi, stendersi, rilassarsi e godere della vettura. 

Un 10 e lode all’ambientazione, quindi. Riuscire a costruire un’ambientazione di questo tipo (ne abbiamo diffusamente parlato in precedenti articoli) un luogo vero e verosimile dove i personaggi possono muoversi e intrecciare le loro storie, uniti dal medesimo filo conduttore dall’inizio alla fine (i fiori e il loro significati) è già metà del lavoro. 

Quando ormai il lettore è intrappolato nella tela ben costruita dell’ambientazione, ecco che la sua mente aperta e ricettiva viene ferita da quella che è, a nostro avviso, il crollo di “Donne che comprano fiori”. Vale a dire le donne, le protagoniste.

                     Le protagoniste

 All’autore esordiente viene rimproverata più di ogni altra cosa la creazione di personaggi bidimensionali, stereotipati. Ed ecco qui balzare in scena donne che non solo incarnano dei cliché, ma che tra loro sono inclini a categorizzare l’intero genere femminile al grido non troppo velato di “fuck the patriarchy”. 

E allora il bel giardino di Olivia, cresciuto sulle ossa (in senso letterale) di famosi scrittori, si trasforma in un “Sex and the city” madrileno. Molto meno divertente, aggiungerei.

 Fa la sua entrata in scena la bella predatrice, che colleziona amanti a causa di una delusione in amore (sic!); la donna in carriera che regala fiori a se stessa per nascondere l’assenza di un compagno (sic! sic!); la donna in carriera con figli e marito assente (di nuovo sic!) e la giovane vedova bloccata dopo la perdita del marito.

 Il gruppo è diretto da una Mary Poppins moderna (ma non troppo) che al posto di pillole di zucchero distribuisce sferzate e aiuti in egual misura, annaffiati da fiumi di vino bianco, con l’obiettivo di “liberare” le sue amiche dal guscio.

            Verosimiglianza?

 Vi sembra già visto, già sentito, già scritto? In questo libro l’elemento esotico è rappresentato dal viaggio in barca a vela in solitaria, senza patente nautica, della voce narrante. Verosimiglianza? Da cercare con il lumicino, come le ossa di Cervantes (quelle sì che da sole rappresenterebbero un meraviglioso elemento esotico). 

Cosa resta, dunque? Di certo una storia che soddisfa “l’algoritmo”: maternità o non maternità, amore teen, carriera versus amore, famiglia versus passione, storia lgbtq+ con coming out annesso. 

Gli elementi ci sono tutti, ma cosa c’è di autentico, di profondo, cosa impara l’autore emergente da questa lezione di scrittura chiamata “Donne che comprano fiori”? Impara che non è sbagliato scrivere di stereotipi, categorie e cliché in maniera testuale e metatestuale. 

Per avere successo è dunque utile rimescolare gli stessi elementi dando l’impressione che siano differenti, con buona pace del lettore che, chiudendo l’ultima pagina, ha la netta sensazione di aver letto l’ennesima versione edulcorata dello stesso libro.

Articolo di Greta Cerretti

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