
Correva l’anno 2002 quando veniva pubblicato il libro “I giorni dell’abbandono” di Elena Ferrante. Oltre dieci anni prima del successo planetario della saga “L’amica geniale” possiamo già intravedere in Olga quella che poi diventerà la cruda (a tratti disturbante) schiettezza di Elena oppure la “smarginatura” di Lila. Abbiamo scelto questa opera per la nostra rubrica Letture Critiche poiché molto ha da offrire all’autore esordiente in termini di tecnica narrativa. Prima di tutto, possiamo senza dubbio affermare che “I giorni dell’abbandono” non è un romanzo bensì un racconto lungo e questo non tanto per la brevità del testo quanto per la scelta di concentrare la vicenda in un arco di tempo ristretto, per il finale bruciante, per il focus ben stretto sulla vicenda dell’abbandono coniugale (al limite del claustrofobico) e per la poca caratterizzazione dei personaggi secondari (esclusa Olga, la voce narrante). Questi sono infatti gli elementi che differenziano il racconto breve dal romanzo, il quale ha un ampio respiro in termini di trama e arco temporale, una caratterizzazione approfondita di tutti i personaggi, uno snodarsi della vicenda attraverso più avvenimenti e il tempo giusto per uno scioglimento nel finale. La vicenda è di per sé banale: una moglie quasi quarantenne viene lasciata dal marito per una ragazza più giovane. Come rendere straordinaria e interessante per il lettore questa trama ai limiti dell’ordinario? Senz’altro grazie al talento e alla tecnica scelta dall’autrice. Partendo dal monologo interiore l’autore libera i pensieri della protagonista in un flusso incontrollato e il lettore si trova immerso nella mente di Olga, compresso in una narrazione concitata, a volte soffocante eppure avvincente, tipica del flusso di coscienza. Il flusso di coscienza (in inglese stream of consciousness) è una tecnica narrativa che consiste nella libera rappresentazione dei pensieri di un personaggio per far emergere in primo piano l’individuo con i suoi conflitti interiori, i suoi sentimenti e le sue sensazioni. In “I giorni dell’abbandono” la moglie e madre perfetta, sempre controllata e misurata nelle parole e nei gesti, abbandona decenza e convenzioni sociali utilizzando una terminologia spesso oscena e arrivando ad aggredire fisicamente il marito fedifrago. Il viaggio nelle emozioni sfrenate e nel dolore abbacinante arriva al culmine quando Olga chiede alla figlia di pungerla con un tagliacarte se la vede “distrarsi” (vale a dire ogni volta in cui si accorge che la sua mente si perde in libere associazioni, distaccandosi dalla realtà). Il flusso di coscienza è una tecnica difficile da maneggiare e nel 2022 sarebbe controproducente imitare le avanguardie artistiche del ‘900 di James Joyce o William Faulkner: la prova di Elena Ferrante ci mostra una via più moderna e senz’altro efficace per utilizzarla.
Articolo di Greta Cerretti
Per approfondire:

“Leggo perché non so volare.“
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