
“Buongiorno, mi presento sono la Scrittura. Sarò io a parlarvi delle figure retoriche…”
Scrittura, non mi vedi? Sono proprio qui e inauguro questo secondo post sulle figure retoriche con una prosopopea (figura retorica consistente nell’introdurre a parlare un personaggio assente o defunto, o anche cose astratte e inanimate, come se fossero persone reali) alla quale ha fatto seguito un’apostrofe (figura retorica che consiste nel
rivolgersi direttamente a una persona o cosa personificata, presente o assente, interrompendo lo sviluppo del discorso).
È più facile che un editore a pagamento vi pubblichi gratis, piuttosto che uno scrittore non comprenda
lo spirito di questi post.
Vi è piaciuto questo adinato? (figura retorica che consiste nell’avvalorare l’impossibilità che si realizzi un evento ipotizzando per assurdo la realizzazione di un altro fatto che non potrà mai verificarsi). Trovo molto pertinente inserirla, come trovo molto pertinente utilizzare un’anafora (ripetizione della stessa parola all’inizio di versi o di frasi consecutive per conferire risalto al vocabolo ripetuto). È una scelta di me più degna, perché mi permette di mostrare un’anastrofe (figura retorica che consiste nell’invertire l’ordine normale di due parole per mettere in risalto uno dei due termini). Scrivere un secondo post divertente e originale, elencando un egual numero di figure retoriche è difficile: molto, molto difficile da scrivere. Ed ecco mostrato un circolo (figura consistente nel terminare il periodo con la stessa parola con cui è cominciato).
Questo esercizio è cibo dorato per la mente, specie quando permette di creare un’originale sinestesia (procedimento retorico che consiste nell’associare, all’interno di un’unica immagine, sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che
in un rapporto di reciproche interferenze danno origine a un’immagine vividamente inedita).
Non venitemi a dire che le figure retoriche le utilizzano solo i poeti, perché non è così: ho usato una premunizione (figura retorica consistente nel controbattere preventivamente alle possibili obiezioni dell’interlocutore).
Se così fosse, vorrebbe dire che la scrittura è in crisi perché i pennini tacciono e le tastiere
ticchettano: vogliate gradire questa tripletta di sineddoche (utilizzazione in senso figurato di una parola di significato più o meno ampio della parola propria; fondata essenzialmente su un rapporto di estensione del significato della parola, questa figura esprime: la parte per il tutto, il tutto per la parte, il singolare per il plurale e viceversa, il genere per la specie). I confini tra sineddoche e metonimia (figura retorica che consiste nel trasferimento di significato da una parola a un’altra in base a una relazione di contiguità spaziale, temporale o causale) non sono molto netti, così posso concludere questo ragionamento affermando che poeta o romanziere, per uno scrittore è difficile vivere del proprio lavoro.
Il mio consiglio è pertanto quello di entrare in simbiosi con le figure retoriche: lo scrittore che le rifugge perché appannaggio dei poeti, e poi le dissemina nel proprio romanzo senza essere in grado di riconoscerle, non è dunque uno scribacchino ma un poeta inconsapevole?
Ecco che vi consegno un bel paradosso (affermazione, proposizione, tesi, opinione che, per il suo contenuto o per la forma in cui è espressa, appare contraria all’opinione comune o alla verosimiglianza e riesce perciò sorprendente o incredibile, oppure determina situazioni di incertezza o di indecidibilità) condito con un pizzico di ironia (affermare una cosa che è esattamente il contrario di ciò che si vuole intendere; si tratta di un tipo di comunicazione che richiede nel lettore la capacità di cogliere l’ambiguità sostanziale dell’ enunciato).
Concludo dicendo che il romanziere che studia per scrivere meglio è un bravo scrittore, che dico: un illuminato! mostrando contemporaneamente un’epanortosi (figura che consiste nel ritornare su una determinata affermazione, vuoi per attenuarla, vuoi per correggerla).
Approfondire i concetti significa migliorare, studiare i manuali significa migliorare, unire al talento la tecnica significa migliorare. Ho scelto questa antistrofe (o conversio, figura retorica consistente nel far terminare più membri di un periodo con la medesima
parola) come augurio per quanti hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui. Migliorare: questo è il mio augurio, mediante una deissi (ricorso a pronomi personali, aggettivi dimostrativi, avverbi di luogo e di tempo per identificare in modo preciso l’oggetto in questione).
Articolo di Greta Cerretti
Se avete perso il primo articolo sulle figure retoriche potete trovarlo qui Pillole di tecnica – Le figure retoriche parte I

“Leggo perché non so volare.“
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