“Scritto negli anni Trenta, l’autore immagina che dopo il primo mandato di Roosevelt vinca l’elezione un fascista: a rileggerlo, quel personaggio è davvero un ritratto impressionante di Donald Trump.” Questa è la quarta di copertina del romanzo “Da noi non
può succedere” di Sinclair Lewis, ripresa dalla prefazione di Federico Rampini. Una prefazione parziale e faziosa, a nostro avviso. La scelta dell’editore non è priva di implicazioni e una
volta di più ricordiamo nella nostra rubrica Letture Critiche qualcosa che l’autore esordiente deve sempre tenere a mente:
acquistando i diritti l’editore acquista anche il potere decisionale su tutti gli aspetti di marketing volti a vendere “l’oggetto libro” vale a dire l’immagine di copertina, il titolo definitivo, la quarta.
Il marketing
Per ovvi motivi Sinclair Lewis non ha contrattato questi aspetti con Passigli Editore, eppure per noi che leggiamo questa nuova edizione la motivazione della scelta di una quarta simile è fin troppo chiara. Il potenziale acquirente, non conoscendo l’opera e basandosi sulla frase di Rampini, sceglierà di comprare il romanzo pensando di trovare al suo interno assonanze e riferimenti con la politica internazionale attuale e con Donald Trump in particolare. Non troverà nulla di tutto questo ma ormai il libro è stato venduto: obiettivo di marketing centrato.
Il tema del romanzo
Per chi si addentra in questa poderosa opera di Lewis, è impossibile non notare numerose assonanze tra il tema di “Da noi non può succedere” e altri libri famosi (con altrettanto famose serie TV da essi tratte): The man in the High Castle, Fatherland, The plot against America, The Handmaid’s Tale solo per citarne alcuni. È opportuno sottolineare che Lewis ha scritto questo romanzo negli anni ’30, vale a dire prima della Seconda Guerra Mondiale. Il fascismo in Italia e il nazismo in Germania gettavano in quegli anni le loro solide basi, e allora più che una distopia (come la leggiamo oggi) l’opera di Lewis rappresenta un monito, un avvertimento all’America. Probabilmente perché nella sofferenza e nelle difficoltà post depressione del ’29 egli riconosceva la presenza di semi che potevano germogliare.
L’antisemitismo e il razzismo latenti
“Niente può dare tanta dignità a un agricoltore rovinato o a un disoccupato quanto il sapere che esiste una razza, una qualunque, che può disprezzare.” Parole forti quelle di Lewis, fatte pronunciare al meraviglioso personaggio di Doremus Jessup, incarnazione del “liberale moderato” che con chirurgica freddezza è in grado di leggere l’animo di concittadini e politici.
La tecnica narrativa
Il romanzo che più spesso viene accostato a quello di Lewis è “Il complotto contro l’America” di Philip Roth (romanzo del quale abbiamo parlato in questo articolo). Roth prende gli elementi di Lewis e li perfeziona, applicando la tecnica narrativa in modo magistrale, dando vita e forma alle emozioni. Questo perché, bisogna ammetterlo, le emozioni fanno capolino a fatica in “Da noi non può succedere”: Lewis utilizza pochissimo la tecnica dello show don’t tell e non si attarda nel dare spessore ai personaggi (escluso il protagonista) che mette in campo. Il racconto, anche nei momenti più crudi come il campo di concentramento e le torture, rimangono allo stadio di una cronaca oppure di un articolo di giornale. I difetti di questo libro si riscontrano sostanzialmente nell’uso didascalico del dialogo, nella prosa essenziale e nella tendenza a raccontare più che mostrare; i pregi risiedono nell’enorme ricchezza di informazioni e spunti da cui poter sviluppare trame, spin – off e approfondimenti perché ogni personaggio ha una storia densa ma incompiuta.
Cannibalizzare un romanzo
Le vicende di Sissi, Julian, Lorinda, Shade e perfino del cane da caccia Foolish sono appena tratteggiate e si prestano a essere riprese e ampliate. In fondo è stato fatto proprio questo: “Da noi non può succedere” si è trasformato in un enorme canovaccio dal
quale numerosi scrittori hanno potuto attingere e banchettare.