Nei nostri consigli, spesso ci soffermiamo su specifici aspetti di un romanzo che vale la pena indicare come paradigmatici. Modelli, insomma: una sorta di “tracce” da cui gli aspiranti autori possano trarre spunto o indicazioni su come affrontare al meglio certi passaggi. Una volta può trattarsi della gestione dei punti vista, altre dell’incipit, altre ancora come strutturare determinati incastri di trama. Se però tiriamo giù dallo scaffale un titolo come “Il canto di Kalì” di Dan Simmons, ecco che ci ritroviamo per le mani quel tipo di romanzo valido non per suggerire come migliorare una precisa parte, ma addirittura come impostare tutto un lavoro di scrittura. Non è un caso, del resto, che proprio con Il canto di Kalì, nel 1985, la carriera di Simmons abbia preso il volo, rendendolo una firma di notorietà planetaria, capace di sfornare pietre miliari tanto nel campo della fantascienza come dell’horror, del thriller e del romanzo a sfondo storico.
Ma cos’ha di tanto speciale Il canto di Kalì?
Innanzitutto, la trama. Semplice, diabolica, cresce pagina dopo pagina, e avvinghia il lettore a partire dalle prime, indimenticabili righe. Calcutta, la gigalopoli indiana dove si ambienta la storia, è descritta come il nefando centro di tutti i mali. Il protagonista – lo scopriamo subito – lo sa, lo ha visto. E ora ce lo spiegherà, rivelandoci come la città maledetta gli abbia distrutto la vita.
Ecco quindi il primo insegnamento: congegnate il vostro romanzo, e specialmente l’inizio, come un filtro magico. Accennate al colpo grosso, e poi portateci il lettore per gradi. Fatelo penare. Non svelate tutto subito: che scriviate un giallo, ma anche una storia d’amore, il bello è godersi ogni pagina in attesa del culmine della vicenda.
Di ottimo, Il canto di Kalì ha poi anche la scelta dell’ambientazione: esotica, lontana e poco familiare. Se è vero che le storie più intense possono situarsi anche nella strada accanto, cercate se possibile di immaginare “il posto migliore”, per il vostro romanzo. Lo scenario è come un vestito per il corpo, che è la vostra trama. Può essere già bella, ma merita di essere valorizzata degnamente da un contesto adeguato, che ne esalti i punti di forza. Simmons poteva scegliere di far muovere i suoi abitanti in infiniti sobborghi, ma voi ripetete il nome: “Calcutta”. Già da solo, è un programma.
Infine, lo stile. Il canto di Kalì è una commistione di thriller e soprannaturale, ma Simmons non usa il consueto linguaggio tipico di questi generi, e preferisce adottarne uno poco lineare, spesso fatto di rimandi colti, creando una “voce” immediatamente identificabile. Anche voi, quando vi applicate a scrivere un romanzo di genere, avete la facoltà non solo di ibridarlo con storie di altro tipo, ma di cogliere l’occasione per non appoggiarvi pigramente allo stile che talvolta siamo abituati ad associare a un certo filone. Potete essere uno dei tanti. Oppure – in maniera studiata – voi stessi.
Molte cose sul tavolo, dunque. In apparenza anche troppe. Eppure il segreto supremo della narrativa è proprio questo, far combaciare tante operazioni complesse in un arazzo che appaia, invece, brillante e semplice. Solo leggendo capolavori come Il canto di Kalì, che di un simile lavoro sono il frutto, a poco a poco imparerete come provarci.
Articolo di Andrea Gualchierotti
Per approfondire:
Letture Critiche – L’isola degli alberi scomparsi
“Lenta, forse, ma efficace è l’azione degli dei.”
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