
Questa settimana nella rubrica Letture Critiche parliamo del romanzo “Gli squali” di Giacomo Mazzariol. Il romanzo esce con Einaudi Stile Libero Big, un marchio che garantisce qualità e noi proviamo a saggiare tale qualità utilizzando gli strumenti di tecnica narrativa.
Partiamo subito dalla copertina: abbiamo sottolineato in diversi articoli (ad esempio nell’articolo Letture Critiche – Smarrimento) quanto una copertina centrata sul romanzo ne aumenti l’appeal. Nel caso di “Gli squali” ritroviamo in copertina un palazzo dipinto con balene e mante: suggestivo, ma… gli squali dove sono?
Per quanto riguarda l’ambientazione (ne abbiamo parlato nell’articolo Letture Critiche – La dama delle lagune) è piuttosto scarna: il protagonista ci parla di Magnano, proprio paese d’origine (nel quale non è difficile riconoscere Castelfranco Veneto, paese d’origine di Mazzariol). L’inizio è spumeggiante e irriverente: Max ne parla ironicamente come il luogo noto solo per un delitto passionale. Tale brillantezza sfuma presto e Magnano diventa un paese anonimo di strade, parchetto e zona industriale, indistinguibile da qualsiasi altro paesino della provincia italiana. L’autore ci riprova mostrando Roma attraverso gli occhi di un ragazzo diciannovenne che la vede per la prima volta, eppure passeggiamo per una capitale stereotipata che non emoziona. Magnano, con le storie lunghe generazioni e la sua “realtà aumentata” poteva chiaramente rappresentare l’elemento esotico del libro di Mazzariol (abbiamo parlato di elemento esotico qui) invece insieme a Roma si riduce a fondale di cartapesta. Ecco allora spuntare l’ePark, papabile elemento esotico, se non fosse per il dettaglio che ricorda troppo il film “The Internship”: altra occasione mancata.
L’elemento tecnico che maggiormente caratterizza “Gli squali” è la rottura della quarta parete. Scelta rischiosa in narrativa, si entra nel campo della metafiction e si introducono delle fratture alla sospensione di incredulità, rendendo il personaggio consapevole di essere tale. Oltre a essere poco utilizzata (leggi come poco commerciale) la rottura della quarta parete può far congelare la storia, allontanando il lettore dal cuore degli avvenimenti. Un esempio su tutti: il momento in cui l’autore evita di scrivere una scena di sesso (più o meno esplicito) e fa parlare il personaggio con il lettore dicendogli in sostanza: sai già come vanno certe cose, perché dovrei fartele vedere io?
“Poi tornammo a casa e… be’, non c’è bisogno che mi dilunghi: avete presente quando siete felici per davvero? Quando vi sembra che la vostra vita sia una corsa giù da una collina e tutto ciò che non vi piace non esiste più? Ecco, quello.” Insomma, un’antitesi dello show don’t tell.
Il consiglio a tutti gli esordienti è di ragionare a lungo prima di utilizzare tale tecnica, soprattutto se (come nel caso di Mazzariol) non si intende portarla fino alle sue estreme conseguenze. Se il personaggio parla al lettore, avrà sicuramente un messaggio importante da riferire, una lezione morale nella quale l’autore crede profondamente. Qual è, quindi, la morale che Max ci comunica con “Gli squali?”
“Ma è così che funziona con i bivi, no? Se vai da una parta non puoi andare anche dall’altra.” Una rivoluzione copernicana.
Eppure il protagonista non si prende davvero la briga di scegliere: ha già garantite le royalties per l’App, quindi si può permettere il lusso di campare di rendita all’università continuando a fare lo squalo (sempre in movimento? O forse lo squalo era Mutti?). Siamo davvero in piena metafiction, poiché l’autore fa la stessa cosa: lascia aperti tutti i filoni narrativi conflittuali (Filippo, Anna) e chiude con lo scotch gli altri (i genitori, Andrea, Marta, l’ePark) perché anche lui come Max può tranquillamente campare di rendita grazie a un’ottima prima prova (Mio fratello rincorre i dinosauri).

“Leggo perché non so volare.”
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